Un’iniezione di ottimismo

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immagine ceduta dall'entità

“Crescita” è forse la parola più usata da economisti ed investitori di tutto il mondo, e non a caso. La crescita dell’economia, dei fatturati, degli utili è alla base di ogni sostenibile salita dei prezzi di un’attività finanziaria o più in generale della buona salute di un sistema economico.

In un sistema indebitato come quello attuale, sia a livello statale sia privato, la crescita riveste un’importanza ancora maggiore. Ci si indebita per finanziare iniziative che portino ad una crescita tale da poter più che ripagare il debito. Dati storici mostrano che per secoli le economie globali sono cresciute a tassi molto bassi, di poco sopra lo zero, entrando poi in un boom secolare nell’‘800 e nel ‘900. Nell’ultimo secolo in particolare le economie sono cresciute molto in concomitanza con una cultura della leva finanziaria che stimola la crescita ma che allo stesso tempo se ne nutre.

Dopo una così lunga corsa, l’ultimo quinquennio ha visto la crescita globale su livelli bassi, nettamente sotto alla media degli ultimi cinquant’anni. Molto è dovuto agli effetti della Grande Recessione iniziata nel 2008, ma tanto è bastato per aprire un dibattito sulle prospettive di lungo periodo per le economie sviluppate. Si ragiona spesso, infatti, sulla crescita “potenziale”: quanto può espandersi nel lungo periodo un’economia, a prescindere da stimoli o fluttuazioni di breve termine?

La domanda non è oziosa. Un potenziale basso si traduce in valutazioni più basse delle attività finanziarie rischiose, come le azioni, ad esempio. Un potenziale alto può invece giustificare ulteriori salite dei prezzi di indici azionari che in alcune aree sviluppate sembrano cari.

C’è un generale consenso che tra le fonti di crescita nel lungo periodo ci siano la dinamica della forza lavoro, l’ammontare degli investimenti fatti in conto capitale e l’aumento della produttività delle risorse a disposizione. Questo modello di base permette di spiegare ad esempio l’alta crescita dei paesi emergenti negli ultimi quindici anni: una forza lavoro giovane e adeguati investimenti possono stimolare lunghi boom da parte di economie prima arretrate.

La produttività di queste risorse cresce velocemente anche per un fenomeno di recupero rispetto a paesi più avanzati. Nel caso di economie già ricche, il ruolo maggiore viene ricoperto proprio dalla produttività: la popolazione cresce meno e l’aggiunta di nuovi capitali funziona solo nel caso di innovazioni in grado di creare nuovi mercati e nuova domanda.

Il dibattito sulla crescita nelle economie sviluppate gira quindi intorno al tema dell’innovazione nelle economie sviluppate, tra chi pensa che il meglio sia alle nostre spalle e chi vede enormi praterie da esplorare.

 

Tra i “pessimisti”, il noto economista Bob Gordon ritiene che l’attuale sviluppo di tecnologia digitale sia poca cosa rispetto ad esempio all’invenzione del motore a vapore nella rivoluzione industriale o altre innovazioni del ‘900 come l’elettricità, il motore a combustione o anche solo l’acqua corrente nelle case private. Anche l’economista T.Cowen giunge a queste conclusioni sentenziando che i frutti bassi dello sviluppo economico, facili da raccogliere, sono ormai stati raccolti e che nuova crescita della produttività sia di più difficile accesso.

 

Tra gli ottimisti, P. Romer segnala come l’innovazione sorprende spesso in positivo: ogni generazione si confronta con il problema delle risorse limitate e tende a sottostimare il potenziale di nuove idee e nuovi modi di usare le risorse esistenti. In un’economia sviluppata, cresce di più quel paese che maggiormente crea un contesto fertile e ottimista per utilizzare al meglio le risorse esistenti.

 

La voce più nota oggi di questo gruppo è sicuramente quella di E. Brynjolfsson e A. McAfee, autori tra l’altro del libro divulgativo “The second machine age”.

 

Il libro analizza le tante strade che sta aprendo il mondo della tecnologia digitale ed emana grande ottimismo sugli anni a venire, pur soffermandosi anche su alcuni lati meno piacevoli di questa “seconda età delle macchine”. Tra le novità della civiltà dell’informazione digitale, gli autori approfondiscono l’abbondanza di dati e contenuti. Quantità e diffusione di informazioni sono il nutrimento di un’infinità di potenziali idee e crescita economica: l’abbondanza di dati a disposizione di chiunque oggi abbia accesso ad internet è in sé l’aspetto più promettente di questa rivoluzione digitale. Mai nei secoli passati è stato possibile inventare così tanti nuovi servizi per famiglie e imprese, per il semplice fatto che tanti fenomeni o potenziali mercati non erano misurabili o identificabili. L’economia digitale e connessioni internet sempre più potenti rendono possibile testare e sviluppare idee che un tempo richiedevano decenni per trovare un finanziatore e qualcuno disposto a crederci.

 

Gli autori citano infiniti potenziali sbocchi a cui può portare l’evoluzione di internet e di nuovi approcci all’analisi dei dati, agevolati dalla nascita di comunità digitali in grado di produrre e sviluppare innovazioni ad una velocità mai vista prima.

 

Quello che stiamo vedendo in questi anni (smartphones, streaming di contenuti, corsi di formazione online delle migliori università di tutto il mondo aperti a tutti …) è solo l’aperitivo di quello che verrà.

 

Nella parte finale del libro, il focus viene spostato dalla crescita – su cui il messaggio è ottimista, al modo in cui questo potrà trasformare il mondo in cui viviamo, tra cui le imprese e il mercato del lavoro. L’economia digitale è fonte ancora in gran parte inesplorata di crescita, ma è anche un tipo di economia che apre una frattura - uno spread - tra chi riesce a parteciparvi e chi resta indietro. È un sistema in cui il vincitore tende ad avere una fetta molto ampia della torta: una web company che funziona ha molta più facilità a crescere globalmente di una vecchia realtà industriale e quindi crearsi nicchie monopolistiche. Essere lavoratori competitivi nel mondo digitale significa essere predisposti ad una continua formazione (i linguaggi di programmazione si evolvono velocemente, i business models nascono e muoiono più in fretta), per cui la precarietà nel mondo del lavoro non è solo una questione di scelta politica, ma qualcosa di inerente al sistema.

Investire sull’educazione diventa cruciale, non solo consigliato: un lavoratore con una mente fuori allenamento rischia di trovarsi senza mercato nel giro di pochi anni. In un mondo in cui macchine “intelligenti” avranno un ruolo maggiore, un lavoratore creativo vale di più di un lavoratore efficiente.

Negli ultimi quindici anni i mercati azionari hanno remunerato gli investitori relativamente poco rispetto ad altri periodi storici. Nel caso dell’Eurozona si sono avuti rendimenti reali negativi. Questi ultimi tre anni di ripresa dei mercati fanno alzare le antenne a tanti, per la preoccupazione che ancora una volta possa finir male.

Il “bear case” è una biblioteca piena di argomentazioni. Val la pena quindi cercare le ragioni fondamentali per un “bull case”, se non altro come compendio a tante visioni pessimiste che si leggono altrove.