Sul lungo i fondi comuni rendono meno dei Bot annuali

Lighthouse_Faro
Flickr, Creative commons, caese

Il faro è puntato sui fondi comuni di investimento italiani. Questi, se nel breve e medio periodo, continueranno a dare buoni rendimenti, nel lungo periodo diventano molto meno interessanti. Per non parlare dei costi, che si fanno sempre più onerosi. Lo dice la 24esima edizione dell’indagine targata Mediobanca su fondi e sicav. I fondi hanno chiuso infatti il 2014 con un rendimento lordo medio del 4% (3,6% netto), un risultato che ha beneficiato particolarmente del buon andamento dei fondi azionari (+6%), dei bilanciati (+5,5%) e degli obbligazionari (+4,1%). Mentre i fondi flessibili si sono invece fermati a una performance del 2,1%. Quindi, con i tassi di oggi, nel confronto con il rendimento dei Bot a 12 mesi fermi nel 2014 allo 0,6% netto, il sistema dei fondi gode quindi di un vantaggio di ben 3 punti percentuali.

Il patrimonio in gestione a inizio anno era pari a 218 miliardi di euro. Anche sul medio periodo, vale a dire su di un arco di tempo di cinque anni, l’evoluzione delle performance dei fondi (13,9% cumulate) è superiore del 3,7% al 10,2% del guadagno realizzato attraverso i Bot a 12 mesi. Il punto, però, è che sul lungo termine i rendimenti sono ancora insoddisfacenti. Vediamo perché. Chi avesse investito in fondi comuni aperti negli ultimi 31 anni avrebbe subito, rispetto a un impiego annuale in Bot a 12 mesi, una perdita poco inferiore al valore del patrimonio iniziale, aumentato nel periodo di sole 4,1 volte contro le 5 dei Bot. “Sulla base del tasso risk free, il frutto dei fondi mette in evidenza una distruzione di valore pari a circa 115 miliardi di euro nell’ultimo quindicennio”, sottolinea la ricerca di Mediobanca.

Continua invece a migliorare la raccolta netta, che dopo 9 anni di rosso dal 2003 al 20012, è risultata positiva per 33 miliardi nel 2014, tornando quindi sui livelli pre-crisi del 2008. L’industria italiana del risparmio gestito rimane tuttavia un fanalino di coda e si arresta al 14esimo posto nella graduatoria europea (era al quarto nel 2004) con un’incidenza dei patrimoni gestiti sul Pil pari al 12% (contro il 42% nel 1999). Nello stesso arco di tempo in Europa l’incidenza dei patrimoni gestiti sul Pil è salita dal 49% al 79%. I dati d’esordio del 2015 confermano questo trend di ripresa. Nel primo trimestre dell’anno c’è stato un saldo positivo di 10,1 miliardi di euro tra i riscatti e le nuove sottoscrizioni per i fondi di diritto italiano e di 14,5 miliardi per le gestioni round trip (promosse all’estero da gestori italiani). La performance media si aggira nell’ordine del 4,6%. I costi di gestione sono rimasti fermi all’1,2% del patrimonio con la punta del 2,7% nel comparto azionario (quasi quattro volte rispetto ai fondi Usa). Anche la rotazione del portafoglio (il cui completo rigiro avviene ogni 9 mesi) si è confermata elevata, specie se confrontata con la media dei fondi azionari americani (che supera i due anni).