Nonostante l'elevato numero di opzioni disponibili, l'investitore italiano continua ad andare in banca per comprare un fondo di investimento. E nelle regioni dove è elevata la presenza di sportelli bancari e consulenti finanziari, il tasso di partecipazione è maggiore. È questa una delle conclusioni dello studio della domanda dei fondi italiani al quale Assogestioni ha dedicato l’ultimo quaderno di aggiornamento con i dati del 2016. Nelle regioni settentrionali la densità dei canali di collocamento è superiore (anche più del doppio) rispetto alle regioni centro-meridionali e insulari. Su tutto il periodo di rilevazione, la maggior parte dei sottoscrittori di fondi italiani ha acquistato le quote attraverso il canale bancario (85-90%). Se si guarda ai dati dell’anno scorso, la percentuale sale al 93%, mentre la rimanente proporzione si è affidata alle reti di consulenti finanziari; dato questo che riflette le caratteristiche tipiche del mercato italiano in termini di integrazione verticale banca-SGR. Per quanto riguarda le modalità di sottoscrizione, il 69% dei sottoscrittori predilige il versamento unico (PIC); tuttavia, nel corso degli anni il numero di sottoscrittori che ha fatto riscorso in via esclusiva ai piani di accumulo (PAC) è cresciuto e rappresenta a fine 2016 il 19%.
La categoria su cui si investe di più
Complice il crescente successo riscosso dai prodotti target date, i fondi flessibili hanno registrato la dinamica di crescita più pronunciata e oggi rappresentano la scelta principale del 36% dei sottoscrittori, confermando per il secondo anno il sorpasso sui fondi obbligazionari. Questi ultimi sono stati da sempre molto presenti nelle scelte degli investitori italiani toccando punte superiori al 40% dei sottoscrittori. Si assiste a una progressiva erosione degli investimenti nei comparti azionario e bilanciato: a fine 2016, solo il 7% e il 6% dei sottoscrittori concentrava i propri investimenti su questi due segmenti.