Prime reazioni all'accordo dell’OPEC

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Cebolledo, Flickr, Creative Commons

È un accordo storico quello raggiunto dai membri dell’OPEC lo scorso 30 novembre a Vienna. Per la prima volta dal 2008 si è deciso di ridurre la produzione giornaliera di petrolio di 1,2 milioni di barili (a differenza delle previsioni di ottobre, che parlavano invece di 700.000 barili). L’obiettivo di produzione complessiva giornaliera è fissato, dunque, a 32,5 milioni di barili. I mercati non hanno tardato a reagire con il Brent e il WTI che hanno registrato rialzi superiori all’8%, arrivando a sfiorare i 50 dollari al barile.

Secondo Roberto Cominotto, gestore del fondo Julius Baer Multistock – Energy Fund di GAM, “Il previsto taglio della produzione da parte dell’OPEC si tradurrà in un deficit di offerta all’inizio dell’anno prossimo, che porterà ad una diminuzione delle scorte e ad un aumento dei prezzi”.

Bob Minter, strategist di Aberdeen, afferma che “si tratta di un risultato molto più importante di quello che la gente si aspettava e che potrebbe portare il prezzo del petrolio a viaggiare verso i 50-60 dollari al barile”. Indipendentemente dalle dimensioni, l’esperto considera l’accordo rilevante per due ragioni. In primis perché “è stato seguito l’esempio del regolamento delle Banche entrali. Includendo la Russia, si sta procedendo in un’azione coordinata con Paesi che non fanno parte del cartello. Successivamente, hanno effettivamente adottato la forward guidance per cercare di guidare le aspettative del mercato”.

In secondo luogo, Minter afferma che, trattandosi di un accordo sulla riduzione della produzione nelle economie più forti per permettere a quelle più deboli di aumentare la loro, “ci vorrà qualche mese per vedere se i tagli saranno implementati de facto”. In questo senso, l’esperto ritiene che la reputazione del cartello ne sia uscita rinforzata: “Si stava seriamente iniziando a dubitare della capacità dell’OPEC di reagire a quanto stava accadendo nel mercato del petrolio, e questo riafferma la sua capacità di azione all’interno del gruppo”. Considerando le problematiche future – un’alterazione strutturale nell’equilibrio dell’offerta e della domanda, la possibile inosservanza dell’accordo di Parigi da parte di Donald Trump… - l’esperto afferma che “l’OPEC dovrà mettere in campo tutte le sue forze di coordinazione e negoziazione per preparasi a questa minaccia esistenziale”.

Norbert Rücker, head of commodity research di Julius Baer, si mostra invece più scettico riguardo alle capacità organizzative dell’OPEC: “L’Arabia Saudita è stata molto franca riguardo all’accordo di cui aveva bisogno per proteggere la propria credibilità”. E riguardo al futuro dell’organizzazione nei prossimi mesi, aggiunge: “È improbabile che l’accordo sostenga l’influenza sui prezzi perché i produttori più grandi sono esenti e l’OPEC non è proprio famosa per il suo rigore in fatto di adempienza”.

D’altra parte, Rücker sostiene che sicuramente i prezzi supereranno i 50 dollari al barile come conseguenza della decisione, ma vede poco probabile che restino tali perché “ravvivare il boom dello shale oil negli USA e ritardare il preteso riequilibrio del mercato”.

Concorda Nitesh Sha, analista di ETF Securities: “Dubitiamo che il rally possa durare perché l’accordo richiede tanta partecipazione da parte dell’OPEC quanto dei Paesi esterni ad essa”.

Sha, inoltre, sostiene che “i numeri sono poco chiari”: sebbene si sia parlato un taglio di 1,2 milioni di barili al giorno nella produzione, allo stesso tempo fa notare che il gruppo ha sospeso la produzione in Indonesia che finora produceva 0,7 milioni di barili al giorno. “In realtà, quindi, si tratterebbe solo di una riduzione di 0,5 milioni”. D’altra parte, l’Arabia Saudita adotterà una correzione di 0,486 milioni di barili.

“Allo stesso tempo, bisogna considerare anche la riduzione di 0,6 milioni di barili dei non membri. Il che significa che la responsabilità dell’equilibrio del mercato ricade sui Paesi che non fanno parte dell’OPEC”, aggiunge l’esperto, riferendosi al compromesso della Russia di correggere a sua volta la produzione di 0,3 milioni di barili.

In virtù di quanto annunciato, la previsione di ETF Securities è che “il mercato sperimenterà un nuovo equilibrio nel secondo semestre del 2017”. Tuttavia, chiarisce che “al di là dell’euforia iniziale, per vedere un incremento sostenibile del prezzo sono necessari segni tangibili di moderazione nella produzione (e che quest’annuncio non sia solo vuota retorica, come in passato)”.