Perché il 2016 si sta rivelando un annus horribilis per gli alternativi

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Lo scenario attuale è così complesso che, anche se gli investitori potessero prevedere cosa succederà a livello politico o economico, correrebbero comunque il rischio di sbagliarsi nel posizionamento. E questo è diventato ovvio con la Brexit. Un gestore che avesse saputo in anticipo il risultato del referendum avrebbe posizionato il suo portafoglio in modo difensivo, dando priorità ai titoli di Stato rispetto agli asset rischiosi, com’è logico. Questo avrebbe fatto di lui un eroe nei giorni inmediatamente successivi all’esito del referendum ma a metà della settimana seguente si sarebbe ritrovato a registrare comportamenti peggiori del mercato. È qualcosa di effettivamente incredibile, che dimostra fino a che punto i mercati siano diventati imprevedibili.

Questo sta facendo sì che il 2016 si stia rivelando un anno particolarmente difficile per la gestione alternativa. In media, molte delle categorie presenti nell’universo UCITS che hanno ottenuto i migliori risultati commerciali negli ultimi tempi stanno presentando rendimenti negativi. Le uniche che hanno funzionato sono le strategie di volatilità e quelle dei mercati emergenti (grafico 1). Secondo quanto spiega Amadeo Alentorn, gestore dell’Old Mutual Global Equity Absolute Return, ciò si deve ai numerosi e importanti eventi che si stanno susseguendo nell’anno, e che hanno avuto un notevole impatto sui prezzi degli asset, soprattutto per quanto riguarda la reazione (spesso non prevedibile) mostrata dai mercati una volta conosciuti i risultati. Per corroborare le sue dichiarazioni, l’esperto di Old Mutual Global Investors fa alcuni esempi.

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Il primo si può osservare se si paragona il comportamento registrato dai mercati agli stimoli annunciati dalla BCE a gennaio del 2015 con la reazione mostrata allo stesso evento nel marzo del 2016. L’anno scorso, nei 30 giorni posteriori all’annuncio realizzato il 22 gennaio da Mario Draghi, l’EuroStoxx 50 ha registrato un aumento del 5%. Il 10 marzo il presidente dell’autorità monetaria ha annunciato nuovi stimoli monetari e, tuttavia, nei 30 giorni successivi l’indice paneuropeo è calato del 2%.

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Un altro esempio particolarmente evidente è il comportamento registrato dal mercato dopo il forte deprezzamento del renminbi. Ad agosto del 2015 la divisa cinese si è deprezzata di un 3%, evento accolto nel mese successivo dall’MSCI World con una caduta del 7%. A maggio, il calo dello yuan è stato del 2% e, nonostante ciò, l’indice globale azionario non ha registrato alcuna variazione.

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La Brexit ha rappresentato un altro dei momenti indelebili nella mente di molti gestori. Prima del referendum, molti dei loro clienti erano preoccupati per l’esposizione dei fondi al mercato azionario britannico che, paradossalmente, è stato quello che si è comportato meglio. E non è tutto. Nei sette giorni successivi al 15 giugno, il FTSE 100 è aumentato del 5% di fronte alla previsione, che annunciavano i sondaggi, della permanenza. A partire dal 23 giugno, una volta conosciuto l’esito del referendum, il FTSE 100, anziché correggere, ha registrato un altro aumento del 3% durante la settimana successiva.

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La stessa cosa è accaduta negli Stati Uniti con la vittoria di Donald Trump. Alcune entità erano arrivate a prevedere crolli superiori al 10% in caso di elezione del candidato repubblicano, una possibilità che i sondaggi consideravano poco probabile. E invece dall’8 novembre lo S&P 500 è aumentato del 3,5%.

Le imprevedibili reazioni del mercato riguardano anche le divise. Lo abbiamo visto recentemente in Giappone, dove l’introduzione di stimoli è stata accolta in modo molto diverso dallo yen. Nel mese posteriore all’annuncio realizzato il 29 gennaio, la divisa giapponese si è apprezzata di un 7%. Viceversa, ad agosto è successo esattamente il contrario. Gli stimoli annunciati il 2 agosto hanno avuto come conseguenza una caduta dello yen del 3% nel mese successivo.  

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