Paul Smith (CFA Institute): “Improbabile un esodo post Brexit dalla City ma Francoforte e Dublino potrebbero guadagnare terreno”

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Paul Smith, presidente e CEO del CFA Institute. Immagine concessa

CFA Institute, la cui affiliata italiana è CFA Society Italy, è tra le voci più rilevanti nel panorama finanziario internazionale. L’ente è un attento osservatore esterno ed attore indiretto in relazione alle dinamiche del settore a livello globale, per il suo ruolo di riferimento nella certificazione delle competenze dei professionisti che offrono consulenza e gestiscono i risparmi e gli investimenti dei clienti. Come tale, si tratta di un’organizzazione più che qualificata ad affrontare i temi di attualità come l’implementazione della MiFID II, il contesto di tassi di interesse ai minimi o la Brexit, per citarne alcuni. Queste e molte altre questioni sono state argomento di riflessione da parte del suo presidente e amministratore delegato, Paul Smith, in un’intervista a Funds People.

Da un punto di vista normativo, il settore finanziario in Europa è oberato da direttive. Tutta questa burocrazia serve a proteggere di più l’investitore retail o, viceversa, lo espone ad ulteriori rischi?
Effettivamente, siamo di fronte ad una serie di nuove disposizioni emesse dalla Commissione Europea. Gli obiettivi sembrerebbero essere una maggiore protezione dell’investitore, più trasparenza e, in un certo qual modo, l’armonizzazione tra i vari Paesi dell’UE. La loro applicazione deve portare ad una maggiore efficienza e trasparenza dei mercati. Ma i requisiti delle direttive devono essere applicati dagli enti regolatori nazionali e, quindi, la complessità burocratica delle normative ricade direttamente su questi ultimi. In molti casi, comunque, i professionisti delle imprese già stanno seguendo le dovute prassi e probabilimente, i cambiamenti saranno minimi.

A livello europeo, quali sono secondo lei i Paesi più preparati ad affrontare l’entrata in vigore della MiFID II?
È evidente che con il ritardo dell’applicazione della MiFID II, società ed enti regolatori avranno più tempo per prepararsi alla sua implementazione tecnica. Per quanto riguarda i requisiti richiesti rispetto alle conoscenze tecniche e alle competenze necessarie, i Paesi dove tali requisiti esistono già saranno avvantaggiati nel loro processo di rafforzamento e/o ampliamento. Per esempio, nel Regno Unito, in Irlanda e nei Paesi Bassi è stato già introdotto un esame per i consulenti finanziari. Tuttavia, nel caso di Paesi dove non è stata ancora introdotta una verifica obbligatoria, gli enti regolatori dovranno individuare le competenze adeguate o svilupparle in collaborazione con altri organismi.

Stiamo assistendo ad uno scenario di mercato storicamente eccezionale per i gestori, con una bassa crescita economica e tassi di interesse a zero o negativi protratti nel tempo. Quando e come crede che si stabilizzerà questa situazione?
Temo che i bassi tassi di interesse ci faranno compagnia per molto più tempo di quanto vorremmo. È difficile, però, prevederne la durata. La fiducia delle imprese è molto bassa. La Brexit ed il costante problema rappresentato, per le economie europee, dagli alti livelli di debito, che stiamo sperimentando negli ultimi dieci anni, non hanno certo aiutato. Dal canto suo, anche la Cina sta facendo i conti con il problema del debito all’interno del suo sistema bancario e deve cercare di risolverlo. Di conseguenza, considerando tutti questi fattori, credo che i bassi tassi di interesse, la lenta crescita ed un leggero contesto deflazionistico ci accompagneranno ancora per qualche anno. Man mano, al ridursi del peso del debito nel sistema, la crescita inizierà a riprendersi di nuovo.

La Brexit è davvero un potenziale destabilizzatore dei mercati economici e finanziari europei e globali nel medio termine o è semplicemente un fenomeno politico?
La Brexit è effettivamente una questione politica ma di enorme portata e, quindi, è diventato un fattore economico, come previsto. Abbiamo già notato l’impatto che ha avuto sui mercati finanziari. Abbiamo visto come questi abbiano reagito negativamente nel periodo immediatamente successivo al referendum e, anche se alcune delle perdite iniziali sono state recuperate, un lungo periodo di incertezza potrebbe avere effetti destabilizzanti sui mercati, specialmente se il Regno Unito entrasse in recessione come conseguenza.

La City potrebbe sperimentare un esodo di società finanziarie e di professionisti del settore degli investimenti? Quali città europee potrebbero diventare grandi centri finanziari?
È troppo presto per dire quale sarà l’impatto della Brexit sulla City. È tutto troppo recente e c’è un elevato livello di incertezza attorno a quello che l’esito del referendum potrebbe comportare per Londra. Credo però che l’ipotesi di un esodo di massa sia poco probabile, in parte per l’importante infrastruttura creata nel corso degli anni e che ha fatto della City un centro di servizi finanziari di grandissime dimensioni. Tuttavia, è probabile che con il tempo si assista a una ridistribuzione di alcuni servizi finanziari verso altre aree all’interno della zona euro. Rispetto ai possibili centri finanziari internazionali alternativi alla City, i dati di un nostro recente sondaggio globale vedono come favoriti, dal post Brexit, le città di Francoforte e Dublino, con probabilità rispettivamente pari a 69% e 62%. La maggior parte degli intervistati non si aspetta grandi cambiamenti nella situazione dei centri finanziari al di fuori dell’UE.

Quali sono le nuove evoluzioni degli investimenti e le richieste ricorrenti degli investitori internazionali?
Guardando al lungo termine, crediamo che la gestione degli investimenti dovrà tenere ancora di più conto di qual è l’obiettivo principale del sistema finanziario, in modo da poter apportare valore nel lungo termine alla società. Ecco perché questioni come il degrado ambientale, l’inclusione sociale o la costruzione di infrastrutture diventeranno sempre più importanti. In altre parole, gli investitori si soffermeranno sempre di più sulle aziende e le organizzazioni che apportano maggior valore al benessere della società e l’industria degli investimenti dovrà stare al passo con tutte queste tendenze.

Qual è l’impatto della certificazione CFA nello sviluppo di una carriera professionale? In quali regioni è attualmente più diffusa la certificazione e in quali i professionisti sono maggiormente interessati a ottenerla per il futuro?
Per essere brevi, ottenere la certificazione CFA conferisce un vantaggio competitivo nella carriera di ogni aspirante professionista nel settore degli investimenti o di chi sta iniziando il proprio percorso professionale. Il primo passo è possedere un vasto dominio delle conoscenze tecniche di investimento e finanza ed etica, le due aree tematiche necessarie per superare i livelli I, II e III degli esami CFA. Quando questo si associa a quattro anni di esperienza professionale, i candidati che hanno superato i tre livelli di esami del programma CFA diventano ufficialmente “Chartered Financial Analyst”. È quello che gli investitori dovrebbero pretendere dai professionisti che gestiscono i loro risparmi. Così come da un medico ci si aspetta che sia qualificato per assistere i suoi pazienti, bisognerebbe essere altrettanto scrupolosi ed esigenti nella gestione della ricchezza. CFA Institute ha più di 140.000 membri tra cui oltre 134.000 professionisti con certificazione CFA in 150 Paesi ed è in continua crescita. In America del Nord il programma CFA è molto riconosciuto e rispettato nella comunità di professionisti dell’investimento sin dalla sua creazione nel 1963. La regione Asia-Pacifico è quella con una maggior crescita per noi in termini di richiesta del programma CFA, anche per il fatto che gli aspiranti professionisti dell’investimento in Cina e India - in particolar modo - sono disposti a superare i tre livelli degli esami CFA per dimostrare la loro padronanza delle conoscenze dell’investimento mettendole allo stesso tempo in pratica nel lavoro. In Italia, vi sono circa 380 professionisti del settore finanziario che hanno ottenuto la certificazione CFA e, ogni anno, circa 200 operatori siedono come candidati agli esami del programma: un interesse verso la certificazione che è rimasto elevato nel tempo. L’associazione locale che raccoglie attorno a sé questi professionisti, CFA Society Italy, opera con eventi formativi per la crescita professionale degli operatori del settore, ponendo un’attenzione particolare ai temi della protezione del risparmio e degli investitori.