Normalità e dintorni

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Siamo a dicembre e come da tradizione si dà uno sguardo all’anno trascorso sui mercati e si cerca di raccogliere le idee per i prossimi dodici mesi. Qualunque investitore sa che in questi anni le Borse di tutti i continenti sono salite, le obbligazioni pure e molti mercati prezzano rischi bassi: il 2014 è stato un anno simile al precedente. Ma notizie sui giornali e tabelle statistiche di vario tipo riguardo al mercato del lavoro e alla crescita economica in Europa, la disinflazione in gran parte del mondo sviluppato e anche alcuni aspetti non convincenti della ripresa americana dipingono uno scenario diverso, molto meno limpido e roseo.

Dopo anni di rally sui mercati, ci si chiede quindi quanto possa durare questo clima positivo e poco volatile. Su mercati come quelli azionari, c’è potenzialmente sempre spazio per ulteriori rialzi, perché non c’è limite al prezzo di un indice azionario, fintanto che gli utili e le prospettive aziendali sono attesi in miglioramento. Su strumenti obbligazionari un limite naturale ai rialzi c’è: difficilmente il rendimento atteso implicito nel prezzo di un’obbligazione può diventare negativo. In alcuni casi (Bund a 2 anni) i rendimenti in realtà sono oggi negativi, ma si tratta di estremi che più di tanto non possono essere forzati, se non per motivi tecnici relativi al funzionamento dei mercati monetari o per una preferenza da credit crunch per i titoli sovrani di rating AAA a scapito di qualunque altra alternativa.

Fatte queste premesse, ecco quelli che a nostro avviso saranno alcuni dei temi principali: sulle obbligazioni governative dei paesi sviluppati, la situazione è sempre più delicata. I tassi bassi sono giustificati da considerazioni congiunturali storicamente estreme, ma non garantiscono alcun 'cuscinetto' di fronte a fasi di volatilità. Allo stesso tempo, potrebbe essere prematuro posizionarsi su un repentino rialzo dei tassi, perché nessuna Banca Centrale vuole (o può) intraprendere questa strada senza preannunciarla con anni di anticipo e farlo con infinita cautela. I tassi quasi zero non sono 'normali, se non altro perché si traducono in una remunerazione nulla del denaro nel tempo, andando a negare uno dei principi su cui si fondano i mercati moderni. Ma questa situazione straordinaria potrebbe durare ancora, per lo meno in Eurozona e Giappone.
 
La situazione in Eurozona resta critica. Il problema dei debiti sovrani ha superato la fase più acuta (2011-2012), ma in termini di fondamentali poco è cambiato: gli Stati faticano a servire debiti alti e la crescita non è tale da permettere un virtuoso assorbimento del debito pubblico. Politicamente, diversi partiti populisti stanno conquistando consensi su proposte anti-europeiste e dal punto di vista istituzionale la crisi ha prodotto solo alcune riforme utili. Gli spread sul debito dei paesi periferici sono bassi al momento solo per via di un supporto da parte della Banca Centrale. Difficile aspettarsi nel breve qualche sorpresa su questo fronte, sia in positivo sia in negativo: chi si prenderebbe la responsabilità di affossare i risultati ottenuti dalla Bce con grande fatica come prestatore d’ultima istanza?
 
L’economia in Eurozona richiederà pertanto ancora un supporto monetario, in assenza di uno stimolo fiscale. Questo favorirà il trend di indebolimento dell’Euro già in corso da alcuni mesi. Quanto questo potrà andare avanti dipende dalla forza relativa dell’economia americana rispetto a quella europea. Gli spread sui mercati corporate, in Eurozona e negli Stati Uniti, non sono su valori estremi. Nel caso dell’investment grade, spread bassi sono ancora giustificati da bilanci in miglioramento e indebitamento sostenibile. Nel caso degli high yield gli spread sono su livelli medi di lungo periodo, in Europa per via di un mercato del credito ancora debole, negli Stati Uniti anche per via delle tensioni che stanno colpendo il settore energetico, che ha un peso non marginale negli indici.
 
Gli indici azionari vengono da diversi anni di buone performances, giustificate da utili in miglioramento e da una condizione di abbondante liquidità a livello globale. Ma i fatturati delle aziende, se si escludono gli Stati Uniti negli ultimi due trimestri, crescono poco: dopo una lunga fase di taglio dei costi da parte delle aziende, gli investitori guardano ai fatturati come uno degli indicatori più importanti per una crescita sostenibile degli utili aziendali. Nei paesi sviluppati, gli interrogativi più diffusi riguardano la capacità delle imprese europee di tornare a far salire gli utili e la risposta del mercato giapponese a stimoli straordinari di dimensioni epiche.
 
Le economie emergenti continuano ad attraversare una fase difficile: il boom degli anni 2000 è finito e si porta dietro casi di eccessi di investimento (Cina), pericolosa dipendenza da export di materie prime (Russia, Venezuela), bilancio estero non sempre in attivo (Sud Africa, Turchia), inflazione alta e crescita bassa (Brasile). I mercati però prezzano già parte di questa transizione: le valute dei paesi emergenti sono sui minimi da dieci anni rispetto al dollaro e i mercati azionari non indicano particolare ottimismo. Dal punto di vista delle valutazioni, le azioni dei paesi emergenti non risultano care e le obbligazioni in valuta locale offrono rendimenti su livelli medi di lungo periodo. Attenzione va prestata alle obbligazioni in dollari emesse da società dei paesi emergenti: si tratta di un mercato molto cresciuto negli ultimi anni, per volumi e numero di emissioni, ma il debito in dollari è una forma di debito estero per queste società, oggi più costoso da ripagare.
 
Il calo generale dei prezzi delle materie prime visto nel 2014 racchiude interessanti spunti di riflessione, se non altro perché l’effetto dirompente delle politiche monetarie qui non si è sentito e molto hanno pesato fattori come la fine del boom dei paesi emergenti, i cambiamenti tecnologici e i bassi consumi nelle economie globali. La velocità con cui il prezzo del petrolio sta scendendo porterà con sé un gran numero di beneficiati e di danneggiati: questi ultimi già cominciano a vedersi e la loro agonia rischia di creare effetto contagio sui mercati internazionali. Il 2015 va quindi affrontato sapendo che l’alta marea del quantitative easing e dei tassi bassi continuerà a tenere a galla mercati e investitori.
 
Ma come dicono due noti economisti, le parole “This time is different” (questa volta è diverso) sono le quattro parole più pericolose sui mercati: le pronunciarono gli investitori nel settore tecnologico alla fine degli anni ‘90 per dire che valutazioni alte erano sostenibili. Lo stesso discorso venne fatto dai proprietari immobiliari in merito ai prezzi alti raggiunti dalle case americane nel 2007. La stessa cosa la stanno dicendo molti investitori che di fronte a rendimenti di poco superiori allo zero per le obbligazioni sostengono che la deflazione, la crescita bassa, il quantitative easing e mille altre ragioni strutturali garantiranno tassi zero per molti anni, volatilità bassa e prezzo degli asset finanziari alto. Pensare che questo contesto sia “normale” ha sotto molti punti di vista lo stesso significato del dire “This time is different”.