Nel 2014 il mercato istituzionale italiano ha superato i 220 miliardi di euro

Moyan_Brenn
foto: autor Moyan_Brenn, Flickr, creative commons

Nel 2014 il mercato istituzionale italiano (fondazioni bancarie, fondi pensione e casse private) ha superato i 220 miliardi di euro grazie al contributo positivo dato dai mercati finanziari ai risultati economici dei portafogli. Il mercato istituzionale in Italia è continuato a crescere anche nel 2014 nonostante il peggioramento del quadro economico nel secondo semestre abbia pesato in varia misura sui diversi segmenti del mercato. Secondo la società di analisi e ricerca Prometeia, "nel prossimo triennio l’andamento dei diversi segmenti istituzionali resterà positivo, ma sarà influenzato dalla debolezza del quadro economico, pur tenendo conto del miglioramento delle prospettive nel periodo più recente, e da andamenti dei mercati finanziari mediamente meno favorevoli dopo le forti crescite dell’ultimo biennio; il tasso di crescita potrà pertanto migliorare soprattutto dal 2017 quando si consoliderà la ripresa economica".

Alle difficoltà dell’economia si somma il fatto che anche il mercato istituzionale italiano sta pagando la correzione dei conti pubblici. La necessità in Italia di finanziare misure a sostegno della crescita nel rispetto degli impegni di riduzione del disavanzo pubblico assunti a livello europeo ha portato, infatti, a un inasprimento della tassazione sui rendimenti finanziari, talvolta con effetti retroattivi già dal 2014, per reperire maggiori risorse da destinare a tali interventi. In particolare, con l’ultima Legge di Stabilità la tassazione sul risultato maturato delle forme di previdenza integrativa è stata aumentata dall’11% al 20% (già nel 2014) e quella sui rendimenti delle casse di previdenza privatizzate e delle fondazioni è passata dal 20% al 26% (da luglio 2014 per le fondazioni e dal prossimo anno per le casse) con il DL 66/2014. Per le fondazioni, inoltre, la tassazione sui dividendi percepiti passerà dall’attuale 1.37% al 21.38% dal 2015. "Stimiamo che l’impatto di queste misure toglierà risorse complessivamente per 1.7 miliardi di euro cumulati nel periodo 2014-2017, principalmente a carico dei fondi pensione, per quasi un miliardo", aggiungono gli esperti.

Nonostante questi elementi di criticità, lo scenario si presenta favorevole all’utilizzo dei prodotti di asset management che, in varie forme, consentono di ottenere una maggiore diversificazione del rischio per classi di attività, geografico e per modalità di gestione. In questa direzione sta andando ormai da un biennio il mercato degli investitori istituzionali italiani (Fig. 1) che ha avviato ristrutturazioni di portafoglio rivolte alla diversificazione dei rischi e alla stabilizzazione dei rendimenti nel medio periodo, anche in risposta alla bassa redditività attuale e prospettica dei titoli di Stato dell’area euro, molto presenti nei portafogli istituzionali italiani.

Il nuovo quadro normativo

Ulteriori opportunità per l’industria italiana dell’asset management deriveranno anche dal nuovo quadro normativo di riferimento sugli investimenti, già approvato per i fondi pensione e in corso di definizione per le casse di previdenza privatizzate e le fondazioni bancarie. In particolare, per le fondazioni, si prospetta un aumento della diversificazione dei portafogli nel momento in cui verrà adottato il protocollo di intesa tra il MEF e l’ACRI, attualmente in discussione, che disciplinerà alcuni principi di gestione del patrimonio, tra cui la fissazione di un limite alle partecipazioni nella banca conferitaria presumibilmente al 30% dell’attivo. Escludendo le operazioni già avvenute nel 2014, si potrebbero liberare risorse da investire pari al 10% dell’attivo del segmento nell’arco di un congruo periodo di adeguamento.

Per il comparto previdenziale, il Decreto del MEF n. 166 del 2 settembre 2014, ovvero l’attesa riforma del DM 703/96, è destinato a produrre interessanti riflessioni sulle scelte future di asset allocation dei portafogli. Il decreto ha infatti rimosso i precedenti limiti agli investimenti, che imponevano rigide restrizioni quantitative sulle attività ammesse, e introdotto una regolamentazione volta a dare maggiore rilievo alle capacità gestionali, di controllo e ai processi decisionali degli enti, dotandosi di strutture adeguate, nonché alla loro responsabilizzazione nel controllo e gestione dei rischi attraverso il ricorso a strumenti e modelli di gestione congruenti. Tali principi ispirano anche la bozza di regolamentazione degli investimenti delle casse di previdenza privatizzate, su cui si è chiusa una pubblica consultazione a dicembre scorso e per le quali invece non esisteva in precedenza una normativa di riferimento per gli investimenti.

Complessivamente, nonostante la nuova regolamentazione stia prendendo forma in una fase dei mercati finanziari più incerta che induce gli investitori, anche istituzionali, a un atteggiamento più prudenziale, la nuova normativa consente di aprire riflessioni e, a tendere, adottare strumenti in grado di cogliere al meglio le possibilità di investimento in un ottica di lungo termine. "Con specifico riferimento al segmento della previdenza integrativa, è interessante la maggiore apertura agli investimenti in fondi comuni alternativi, tra cui rientrano i fondi immobiliari, infrastrutturali, di private debt e di private equity, a vantaggio della possibilità di orientare gli stessi anche verso strumenti di sostegno alla crescita economica, pur garantendo un elevato grado di diversificazione e maggiore sicurezza", sottolineano gli esperti. E concludono: "questi cambiamenti costituiranno pertanto nel prossimo futuro una sfida per l’industria dell’asset management, sollecitata a proporre le soluzioni più adeguate a questa tipologia di investitori".