Michael Spence, gli USA meglio dell’Europa ma restano vulnerabili

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foto: autor World Economic Forum, Flickr, creative commons

Da un punto di vista macroeconomico globale, le preoccupazioni continuano. Il ruolo delle banche centrali sta diventando sempre più forte e, negli ultimi mesi, il mondo si trova ad affrontare l’impatto di una crescita dei tassi da parte della FED sulla scia di una normalizzazione della politica monetaria. Nella zona euro, abbiamo assistito a discorsi meno convincenti del solito da parte di Mario Draghi. Forse si sta affrontando anche un calo di credibilità nell’Eurozona che ha lasciato i mercati incerti davanti alla fine del QE e, più in generale, sulla capacità della BCE di combattere la deflazione. Cosa ne pensa?

L’influenza delle banche centrali è stata e continua a essere forte. I prezzi degli attivi sono molto elevati e questo ha spinto gli investitori verso asset più rischiosi o direttamente li ha portati offshore. Un unicum, inoltre, è il fatto che i prezzi degli attivi siano molto divergenti dai fondamentali economici. Penso quindi che siamo al punto in cui si verificherà un qualche tipo di ri-convergenza. La BCE ha avuto un ruolo importante nello stabilizzare i mercati del debito sovrano in Europa. Senza questa, ci sarebbero stati molti più problemi di quelli che ci sono stati in realtà. Combattere la deflazione è impresa ardua e più difficile ancora rispetto a combattere l’inflazione. Lo si può vedere chiaramente in Europa e in Giappone. Le banche centrali non hanno tutti gli strumenti necessari per gestire dinamiche come la crescita e l’occupazione e ormai non mancano certo di sottolinearlo. Adesso, in altre parole, tocca ai governi agire con un’ottica di lungo termine sui fronti della stabilità finanziaria, della flessibilità strutturale e della competitività. 

Dall’inizio di ottobre, abbiamo assistito a una brusca correzione dei mercati azionari e il calo più significativo si è visto sulle borse europee. Secondo voi, è stato un singolo trigger specifico o meglio un accumulo di notizie deludenti che improvvisamente ha portato il sentiment del mercato verso un atteggiamento di sfiducia?

Molti investitori hanno realizzato che i prezzi degli asset erano diventati molto più alti di quanto i fondamentali economici potessero giustificare. Ma fino a quando i mercati vanno su, non è saggio per fare delle scommesse contrarian. Penso che le cattive notizie sulla crescita e sulle questioni della sicurezza globale finale porteranno a un’inversione di rotta ma non è chiaro quanto grande sarà la correzione.

Cosa suggerisce a un investitore in questa fase che stia cercando di mettere a segno delle performance sul fronte azionario? Come vede l’Europa? E l’Italia?

Ci sono settori e società che possono e che faranno molto bene in Europa anche se l’economia europea, a mi avviso, sarà caratterizzata ancora da un esteso periodo di bassa crescita e alta disoccupazione che si protrarrà almeno per 3-5 anni ancora. In generale penso che gli Stati Uniti siano il posto più sensato dove mettere i soldi. Cavalcando anche il probabile prossimo rialzo del dollaro che porterà benefici agli investitori. Il problema negli Stati Uniti, piuttosto, è che sono diventati un po’ cari. Penso anche che ci siano buone opportunità nei mercati emergenti grazie anche al fatto che stanno prezzando in una maniera molto più ragionevole di uno o due anni fa. In Italia molti investitori locali stanno comprando titoli di società domestiche e debito grazie ai prezzi ragionevoli e perché scommettono che le cose, nel lungo termine, miglioreranno. Ma, più in generale, gli investitori a livello globale preferiscono la cautela sul Paese, sia sul fronte azionario sia obbligazionario. 

Cosa ci dice dell’universo fixed income?

In molti posti i tassi di interesse sono bassi a tal punto che le semplici strategie ‘buy and hold’ non sono sufficientemente interessanti ai fini della performance, soprattutto sul fronte delle lunghe durate. Quindi penso che si debbano preferire la gestione attiva, i mercati di nicchia, i crediti in difficoltà, le banche che stanno vendendo gli asset sotto la pressione delle autorità regolamentari.

 In relazione ad altri, il mercato americano sembra essere in buona forma. È d’accordo?

Si, se ci basiamo sugli ultimi anni. Ma sta diventando costoso e difficilmente tornerà a dare grandi performance nel prossimo anno. I punti di forza non mancano ma rimane vulnerabile e gli investimenti sono sotto il loro potenziale. 

Scorrendo alcuni dati economici provenienti da mercati emergenti, non ci sono segni tangibili di ripresa o recupero. Stanno strutturalmente diventando più deboli a causa di un minore potenziale di crescita economica, disavanzi e tensioni geopolitiche e continueranno a dipendere fortemente dalle economie sviluppate, a loro volta fragili. Vede qualche opportunità?

La realtà dei mercati emergenti è complessa. Molti di questi, sono diventati dipendenti dai capitali esterni mentre il momento delle riforme sta rallentando. Questo cambierà in positivo e io sono abbastanza ottimista nei confronti della performance. Penso che le riforme e il cambiamento strutturale in Cina farà vedere i suoi frutti e il PIL chiuderà intorno al 7%. Questo significa che il Paese sarà in grado di supportare le crescita in Asia e nei mercati in via di sviluppo. È chiaro altresì che alcuni di questi mercati abbiano corretto fortemente dato che erano basati su aspettative completamente irrealistiche in relazione ai tassi di crescita in Cina. L’India probabilmente vivrà un rimbalzo e anche il Messico sta affrontando un aggressivo processo riformatore. Più in generale, penso che un’asset allocation equilibrata e in grado di fornire anche un po’ di performance debba avere una quota investita sui mercati emergenti.