L'Economia non è una scienza esatta

 

E’ da un po’ di tempo che sto notando come le teorie economiche classiche stiano facendo acqua da tutte le parti. Innanzitutto c’è la faccenda delle aspettative. Leggo sempre più spesso sui giornali economici che le aspettative sono più positive per il futuro rispetto a qualche tempo fa, eppure gli economisti si stupiscono che a fronte di questo rinnovato ottimismo non c’è stato ancora lo slancio verso la ripresa che si aspetterebbero. Guardandomi intorno mi sembra sempre più che gli economisti non riescono a spiegare i fenomeni economici con i modelli classici che hanno utilizzato sino ad oggi. Altrimenti non ci troveremmo in questa situazione.
 
A partire dal tardo 700 gli economisti hanno iniziato a studiare gli avvenimenti legati all’utilizzo delle risorse, e hanno cercato di incardinarli in regole che nascevano dall’osservazione e dalla statistica. Si diceva che il compito dell’economista fosse quello di dipanare la matassa, di “presentare il conto” andando ad esaminare le ripercussioni di ogni decisione, valutando gli effetti e i contro effetti, in modo che la società potesse prendere delle decisioni con cognizione di causa. Ma ora che sta succedendo? Hanno ancora senso le teorie elaborate sino a questo momento oppure è beneripensare alle regole dell’economia rompendo i paradigmi esistenti?
 
La cosa che mi colpisce di più è che nessuno ha veramente idea di cosa succederebbe se uscissimo dall’euro. Le due fazioni di chi vorrebbe uscire e di chi invece sostiene che sarebbe una tragedia, hanno entrambe fior fior di professoroni blasonati che supportano le loro tesi, e ad ascoltarli hanno tutti ragione. La verità è che nessuno può veramente provare i propri scenari finché l’evento non accade. Per cui siamo tutti con il fiato sospeso ad osservare la Grecia, un po’ con la paura e un po’ con la perfida curiosità di guardare se faranno da apripista, in modo che una delle due fazioni possa farsi forza e finalmente prevalere sull’altra.
 
E ancora, in Italia all’epoca del Governo Monti sono stati chiamati stimatissimi esperti di economia a sollevare le sorti del nostro paese e cosa hanno fatto? Hanno aumentato le tasse e innalzato l’età pensionabile. Dico, che bisogno c’èra di chiamare un luminare per un provvedimento che avrebbe potuto prenderlo un semplice ragioniere di provincia con il pallottoliere? Da chi sta al Top dell’economia e bazzica “i poteri forti” mondiali mi sarei aspettata un filino di sforzo di fantasia in più.
 
Anche ora, a qualche anno di distanza dall’inizio della crisi non si riesce a trovare il bandolo per sbrogliare la matassa della ripresa. Neanche gli 80€ hanno dato la spinta auspicata e le previsioni sul PIL assomigliano sempre più all’oroscopo. La sensazione è che si proceda a tentativi, sperando nella provvidenza.
 
Perché succede questo? Ne riflettevo l’altra sera con M, ascoltando il telegiornale.
 
Perché fondamentalmente i fenomeni economici sono legati all’animo umano, e nessuno può stabilire con certezza come l’uomo può reagire di fronte a determinati fatti. Non è come la matematica dove 1+1 fa sempre 2. Qui in ballo ci sono le reazioni degli individui ad eventi che toccano profondamente il proprio Io.
 
E nell’era dell’economia globale, della finanza che ha preso il sopravvento sull’economia reale, e soprattutto nell’era di quella cassa di risonanza mondiale che è Internet, questo mi fa un po’ paura. Se penso a come siamo stati tutti “Charlie” al momento dell’attentato in Francia, mentre fatti anche più atroci passano sotto gli occhi di tutti nella più assoluta indifferenza, mi spavento per come siamo manipolabili. Le poche voci fuori dal coro vengono massacrate, molti cavalcano l’onda dell’emotività per promuovere il proprio misero orticello con uno squallore che mi ripugna. Oltretutto chi guida la macchina dell’economia mondiale non mi sembra che ne abbia il pieno controllo, perché la viralità, grazie all’economia globale, a Internet, e a tutto ciò che ci unisce mani e piedi molto più che in passato, può prendere delle pieghe incontrollate. Basta pensare che quando una farfalla ha sbattuto le ali negli Stati Uniti, prendendo le sembianze dei primi disgraziati che non sono riusciti a pagare le rate del mutuo sulla casa, in Europa si è scatenato uno tsunami senza predenti.
 
E se pensiamo al fatto che le banche si fondano sulla fiducia dei depositanti, perché sappiamo benissimo che se domani andassimo tutti a ritirare i nostri soldi agli sportelli bancari il sistema crollerebbe……. beh, c’è solo da sperare che non scatti mai alcun meccanismo che scateni il panico.
 
Come se ne esce da questa situazione? A mio avviso se ne esce solo sviluppando un pensiero critico.Le informazioni oggi sono a portata di tutti, ma nei Big Data bisogna avere il cervello per scegliere e capire. E questo insegnamento deve partire dalla scuola, che deve dare le basi di economia e finanza ma che soprattutto deve insegnare a pensare con la propria testa. Cosa che al momento non mi sembra che faccia, per lo meno in Italia.
 
Scopro però che nelle Università di tutto il mondo stanno nascendo movimenti spontanei di studenti di Economia che chiedono una pluralità di voci, che rifiutano di studiare esclusivamente le teorie che parlano del sistema capitalistico, e vogliono conoscere altri modi di capire e interpretare i fenomeni economici, ad esempio modelli basati sullo scambio reciproco oppure modelli ancora da inventare. Sì perché il modello classico fondato sull’ipotesi che facendo il tuo interesse farai anche quello degli altri attraverso il meccanismo magico del mercato che si autoregola, ha generato unaconcentrazione di ricchezza accompagnata da un degrado morale e spirituale, che ha lasciato i giovani senza prospettive future sia in termini di valori sia in termini economici.
 
E scusate se è poco.
 
L'articolo è stato pubblicato su Cum Grano Salis: Blog di temi Economico-Sociali e riflessioni Contabili.