Inflazione? Quale inflazione?

Carlo-Benetti
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Commento a cura di Carlo Benetti, head of market research and business innovation di GAM SGR.

Il ritorno dell’inflazione sta innescando un cambio di gioco. I portafogli obbligazionari sono pronti all’inversione dei rendimenti?

Per decenni fu ritenuto il più importante economista americano, oggi il nome di Irving Fisher è noto solo agli specialisti. Il grande pubblico conosce Milton Friedman, Paul Samuleson, Franco Modigliani e il povero Fisher viene semmai ricordato per il peggior consiglio di investimento di tutta la storia, quell’improvvida frase pronunciata a metà ottobre 1929: “I prezzi azionari hanno raggiunto un livello che assomiglia a un permanente altopiano”. Due settimane dopo Wall Street crollava e iniziavano gli anni della Grande Depressione. Fisher, da persona integra quale era, credeva a ciò che diceva, aveva investito tutti i suoi averi in azio­ni e finì in miseria. Riuscì a cavarsela con l’aiuto della cognata e dell’Università di Yale. Eppure Irving Fisher ha contribuito enormemente al pensiero economico, ha elaborato la teoria quantitativa della moneta e c’è il suo pensiero dietro le misure straordinarie delle Banche centrali.

Negli anni della Grande Depressione, Fisher aveva osservato che le vendite massive aumentavano l’entropia del sistema: i debitori si affrettavano a vendere i propri asset, le vendite concorrevano ad abbassare ulteriormente i prezzi, che a loro volta peggiora­vano le condizioni dei debitori. L’idea di Fisher era quella di un “incantesimo”, così lo definì, che interrompesse quella spirale perversa in cui la deflazione alimentava la formazione dei debiti venendone a sua volta alimentata. L’incantesimo era fornito dall’immissione nel sistema di quantità di moneta tali da favorire il ritorno dell’inflazione. Ne avrebbero beneficiato i debitori, si sarebbe interrotta la spirale deflazionistica, sarebbe tornata la fiducia e con essa la voglia di fare affari, la ripresa dell’attività economica.

Il pensiero dell’economista amico di Keynes è tornato attua­lissimo in anni in cui si è ripresentato il rischio della deflazione che solo nel corso di quest’anno, dopo un deludente primo trimestre, sembra allontanato. Anche in Europa, il “malato del mondo”, si registrano timidi segnali di inversione delle condizioni economiche. L’inflazione è tornata negli Stati Uniti, in Gran Bre­tagna (ma non per i motivi auspicati dai banchieri centrali) e sta affacciandosi in Europa. È verosimile attendersi che l’inflazione continuerà a manifestarsi nel corso del 2017, non tanto per una decisa ripresa dell’attività economica quanto per i prezzi delle materie prime. È un fatto che la ripresa dell’inflazione sia dovuta principalmente al recupero del prezzo del petrolio, la domanda cruciale è se il processo di reflazione sia di ampio respiro, de­stinato cioè a continuare anche senza la pressione del petrolio. L’inflazione “core”, cioè il dato depurato degli effetti dei prezzi di alimentari ed energia, è in effetti leggermente salita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ma da ora in avanti è più probabile un andamento laterale.

I mercati obbligazionari americano e britannico sono stati i primi a registrare questi movimenti e, nelle ultime settimane, anche quelli europei hanno avuto un generalizzato movimento di vendita che ha fatto salire i rendimenti. Nell’Eurozona l’aumento dei rendimenti risponde a stormir di fronde politico, si esaurisce l’efficacia della politica monetaria della Banca centrale senza che la politica di bilancio intervenga a consolidare e rafforzare. Semmai essa è vincolata dagli appuntamenti elettorali in Italia, Francia e Germania. Non a caso il BTP è quello che si è mosso di più avvicinandosi a quota 1,80%, in una sorta di non gradita sintonia con il Gilt inglese.

Stiamo assistendo a un generale fenomeno di reflazione, l’ipote­si postulata da Fisher negli anni ‘30. Ma è una reflazione ancora piuttosto gracile. Secondo le stime di Gavyn Davies, il sentiero di reflazione nelle economie avanzate è appena a un terzo di un sentiero avviato in realtà già dallo scorso anno. Da zero, l’inflazio­ne nelle economie avanzate è oggi mediamente attorno a 0,5% e le previsioni dell’economista inglese la vedono a 1,5% a metà del prossimo anno.

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Fonte: Fulcrum Asset Management, FT

Secondo Davies l’inflazione generale americana sarà prossima al desiderato 2% nei primi mesi del nuovo anno mentre in Gran Bretagna, anche per le pressioni valutarie, è possibile che l’infla­zione arrivi a 2,5%, oltre l’obiettivo delle autorità monetarie. Euro­zona e Giappone sono, senza sorpresa, più indietro: in Europa il modello di Davies proietta l’inflazione a 1,5% per fine 2017, un livello in linea (addirittura di poco superiore) alle previsioni della BCE ma ancora lontano dal 2%. In Giappone la verosimiglian­za dell’obiettivo del 2% è sempre più discussa, con l’inflazione ancora in area negativa e destinata a restarvi nel 2017.

In ogni caso, ragionando sul qui e sull’ora, la ripresa dell’infla­zione comporta un cambio di gioco rispetto agli ultimi anni e gli investitori, soprattutto quelli obbligazionari, devono riconsiderare la composizione del portafoglio. Il cambio di gioco si iscrive poi in una fase segnata da alta incertezza politica e l’obiettivo dell’investitore privato dovrebbe essere quello di evitare, o per lo meno contenere, i probabili picchi di volatilità.

Un’alternativa di cui si parla da tempo, non per questo meno va­lida, è quella di cercare fonti di “carry”. In termini molto generali, con il termine “carry” si intende il reddito, o il costo, che ricade su un investitore nel detenere un certo tipo di investimento. In termini più specifici, quando si parla di “carry” come possibile scelta alternativa per la messa in sicurezza dei portafogli, ci si riferisce a titoli che generano uno stabile flusso reddituale in forma di cedole o di dividendi. E non c’è bisogno di troppe parole per comprendere le ragioni di attrazione, di appeal, che hanno gli asset che incorporano rendimento in un ambiente caratterizzato dal rischio della direzionalità.

Ma “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, esclama John Belushi in Animal House: la corretta selezione di titoli con “carry” comporta il concorso della competenza profes­sionale del consulente, troppo elevati i rischi delle soluzioni “fai da te”. Perché non sempre una fonte di rendimento è buona come appare, anche in questo ampio segmento la selezione è crucia­le, il rischio è che attese di rendimento si trasformino in amare delusioni.

Sono portatori sani di carry le cartolarizzazioni di ipoteche (Mortgage Back Securities), offrono una scarsa correlazione con il mercato obbligazionario ma sono un territorio in cui è indi­spensabile essere accompagnati da scout esperti. E sono portatori di carry le emissioni a elevato rendimento (HY bond), sia pure con un maggior tratto di direzionalità, e il debito emergente che merita la selezione attiva nella scelta tra valuta forte e locale, tra emissione societaria e governativa.

Non si tratta di soluzioni che promettono rendimenti sibaritici, piuttosto rendimenti di segno positivo, con bassa volatilità e buon grado di affidabilità. Di questi tempi non è poco: i rendi­menti che molti investitori conservano in memoria costituiscono un’illusione cognitiva, come ricorda spesso il professor Paolo Legrenzi, e sono divenuti, nostro malgrado, anacronistici.

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I bond “Insurance-linked” e “MBS” hanno generato rendimenti inferiori rispetto ai mercati principali ma sono tra i candidati più affidabili del prossimo futuro. Fonte: GAM, Standard & Poor’s, Thomson Reuters.

Tempo fa, tra il pubblico di investitori privati in una serata dedi­cata alle scelte di investimento, una signora affermò che tutto sommato non pensava di chiedere la luna al proprio consulente, visto che si sarebbe accontentata di un rendimento attorno al 3% senza rischio. Purtroppo, per la signora in questione e per milioni di investitori come lei, il 3% senza rischio è ormai un dato del passato, difficilmente si ripresenteranno a breve quelle stesse condizioni.

L’alleanza virtuosa tra risparmiatore, consulente e gestore attivo dovrebbe condurre all’opportuno adattamento dei portafogli al cambio di gioco, la parte “core” costituita da soluzioni a ritorno assoluto in sostituzione dei tradizionali governativi, le compo­nenti satellite costituite da strumenti in grado di concorrere al rendimento complessivo.