Imparare a investire da chi ha ottenuto i migliori risultati

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Foto: autor Margot Le Nin, flickr, creative commons

Nel bel mezzo di uno scenario di volatilità e incertezza come quello attuale, un esercizio altamente raccomandato consiste nell’analizzare come si muovono gli investitori che nel corso del tempo hanno ottenuto i migliori risultati grazie alle loro strategie. Non vi è dubbio che i grandi investitori istituzionali sono quelli che hanno dimostrato a lungo termine maggiori abilità nel navigare i mercati con successo. È il caso degli endowments, i grandi fondi delle università statunitensi che hanno ottenuto rendimenti ben al di sopra della media. Si tratta specialmente dei cinque maggiori fondi universitari, conosciuti come super endowments, tra i quali ci sono quello di Harvard (36,4 miliardi di dollari) e quello di Yale (23,9 miliardi). In media, negli ultimi dieci anni hanno ottenuto un rendimento annualizzato del 10,9%, 3,8 punti in più rispetto al rendimento generato da un portafoglio tradizionale composto per un 60% da azioni statunitensi e per un 40% da obbligazioni. 

Questo tipo di investitori ha ben chiaro due concetti: in primo luogo, l’obiettivo dell’investimento. Harvard e Yale sono società private e si finanziano con le tasse dei loro studenti e quelle che gli ex-alunni donano ai loro endowment funds. Con questi fondi pagano gli insegnanti, mantengono le strutture, retribuiscono i team di gestione, concedono borse di studio… Il costo annuale che devono affrontare per coprire le spese si aggira intorno al 3 e al 5% degli asset dei fondi.  Non hanno un limite temporale di investimento, il che gli permette di avere una visione a lungo termine. La filosofia di investimento che sta alla base dei fondi di Harvard e Yale è la Moderna teoria di portafoglio sviluppata del Premio Nobel Harry Markowitz, che dimostra che il rendimento di un portafoglio adattato al rischio può essere ottimizzato diversificando gli asset con correlazioni differenti. Per gli endowments, l’asset allocation è la chiave di tutto. Questo tipo di investitori non muove i propri portafogli in funzione delle oscillazioni del mercato. “L’assegnazione degli asset dei super endowments è stata particolarmente stabile nel tempo, cambiando in media un 15% negli ultimi anni”, afferma  David Swensen, CIO di Yale (grafico 1 fonte Frontier Gottex). 

Da questa filosofia d’investimento di successo si possono trarre due lezioni. La prima è che quello che conta veramente per l’investitore non è confrontarsi con l’indice ma definire l’obiettivo del suo investimento. “Ognuno dovrebbe analizzare le risorse che ha a disposizione e creare il proprio bechmark di riferimento”, dicono sia da Natixis Global AM che da Aberdeen. La seconda lezione da tenere a mente è che l’asset allocation deve adattarsi all’obiettivo stabilito. Ogni investitore ha a disposizione dei prodotti che gli consentono di adottare strategie in base agli obiettivi personali. Bisogna partire dalla determinazione di questi ultimi e, in secondo luogo, trovare il prodotto giusto. Ad esempio, se l’obiettivo è lo stesso degli endowments, vale a dire ottenere un rendimento periodico, i fondi income sono strategie che forniscono maggiore diversificazione e quindi meno rischi rispetto a un investimento diretto in azioni, obbligazioni o proprietà.

Molti banchieri privati impiegano parecchio tempo a cercare di convincere quei clienti che si ostinano a concentrare i propri investimenti in una manciata di titoli che conoscono bene e offrono rendimenti interessanti per dividendo. Senza analizzare la correlazione che può esserci tra le società in portafoglio, il problema è duplice. Da un lato, la concentrazione del rischio in un mercato specifico e dall’altro la possibilità di riduzione del dividendo. Se si tratta di investire per la pensione, l'investitore dovrà assumere più rischi all’inizio e ridurli man mano che si avvicina quel momento. In questo senso, i fondi lifecycle sono un'opzione valida. Si tratta di strategie in cui l’asset allocation è fondamentale, come per gli endowments. La regola è chiara: a un orizzonte temporale più lungo corrisponde un maggiore rischio nel portafoglio e viceversa. Il posizionamento cambia in base a un modello predefinito di assegnazione degli asset in cui il rischio si modera gradualmente man mano che ci si avvicina alla data dell’obiettivo. Di conseguenza, le strategie che hanno orizzonti temporali superiori ai 20 anni investono praticamente il 100% del portafoglio in azioni, arrivando alla scadenza completamente posizionati in liquidità. Di norma, la commissione applicata è unica e diminuisce quanto più si avvicina la data dell’obiettivo e i portafogli diventano più conservativi.

Le differenze rispetto agli endowments sono principalmente due: da un lato, non cercano di attenuare le perdite causate da un “mercato orso” con strategie di copertura (acquistando opzioni OTM -out of the money- che gli permettano di recuperare parte delle perdite come fanno gli endowments). Dall’altra, non includono strategie alternative nel portafoglio (attualmente, i fondi universitari investono in media un 16%).