Il TFR in busta paga? No grazie

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Tra le misure della Legge di Stabilità per il 2015, alcune riguardano la previdenza complementare. Da un lato dal 1 marzo il dipendente privato in servizio da almeno sei mesi  potrà ottenere il TFR in busta, mese per mese e con previsione di irrevocabilità fino al 30 giugno 2018. Il TFR erogato sarà assoggettato dunque a tassazione ordinaria Irpef. Dall’altro la fiscalità della previdenza subirà delle modifiche a rialzo. I rendimenti dei fondi pensione saranno tassati al 20% (in precedenza era prevista un’aliquota del 11,5%); mentre i rendimenti del TFR lasciato in azienda saranno tassati al 17% (in precedenza era 11%).Una misura transitoria e sperimentale che permetterà ai lavoratori interessati di scegliere se versare (o continuare a versare) il proprio TFR al fondo pensione, mantenere il proprio TFR in azienda o riceverlo in busta paga con una tassazione evidentemente svantaggiosa. Prima di compilare il modulo Quir - che è irreversibile fino al 2018 - bisogna ragionare bene sulla convenienza o meno di un TFR in busta paga.  

Uno studio analitico della Mefop, la società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione, che raccoglie circa 90 soci con la collaborazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, s’interroga proprio su questo punto: “È possibile confermare il vantaggio di destinare il TFR al fondo pensione”, nonostante le nuove misure?  Il report della società guidata da Mauro Marè, mette a confronto le possibili scelte del lavoratore: versamento del solo TFR; versamento del TFR, della contribuzione a proprio carico e di quella datoriale; sola contribuzione a carico dell’aderente. La conclusione è che l’opzione fondo pensione in termini di risultato finale conviene sempre.

“L’investimento nel fondo pensione resta fiscalmente più conveniente sia per il solo TFR, sia per i propri contributi”, spiega in sintesi Damiana Mastantuono, avvocato specialista in lavoro e previdenza, in Mefop dal 2000. I fondi pensione, infatti, prevedono non solo la deducibilità dei contributi con risparmio dell’aliquota marginale e tassazione sostitutiva delle prestazioni (15-9%; 23%), ma anche la tassazione agevolata dei rendimenti (12,5% per la parte investita in titoli di Stato; 20% per gli altri rendimenti) e un eventuale contributo a carico del datore di lavoro. Niente bollo, né Tobin tax né Iva sulle commissioni di gestione.  “Nel contempo occorrerà rilanciare l’importanza dei fondi pensione per il contenimento dei crescenti, e in alcuni casi difficilmente stimabili, rischi sociali cui risultano esposti cittadini e lavoratori dopo le ultime riforme in materia di welfare. A questo delicato compito occorre rispondere prontamente per non vanificare gli importanti risultati raggiunti e per contribuire a realizzare l’obiettivo di assicurare a tutti i lavoratori una pensione dignitosa e una longevità il più possibile serena”, conclude l’avvocato Mastantuono.

Confronto tra le possibili scelte del lavoratore

Prendendo ad esame un dipendente con reddito lordo di 25 mila euro che impegna il TFR per dieci anni fino alla pensione, con un rendimento lordo del fondo pensione e del TFR pari al 3% annuo, un tasso di inflazione al 2% annuo e una crescita del reddito dell’1% reale annuo, il capitale nel fondo ammonterà a 19.532 mila euro, quello in azienda a 17.692 euro, mentre il controvalore del TFR in busta paga si fermerà a 12.033 euro. 

Esempio 1 

Esempio 2:

Fonte: Mefop