Un Halloween da paura anche per l’obbligazionario

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chris.alcoran, Flickr, Creative Commons

“Nel mondo finanziario c’è da aver paura”, afferma Anthony Doyle, investment director del team Retail Fixed Interest di M&G Investments. L’esperto si riferisce allo scenario di debito, disinflazione, crescita in deterioramento e tassi negativi che rappresentano una vera e propria piaga per tutti gli investitori. Ma il dato più spaventoso è che a distanza di otto anni dall’inizio della crisi finanziaria le Banche centrali dei Paesi sviluppati continuino ad adottare una politica monetaria ultra accomodante. Se a tutto questo aggiungiamo che i mercati dei titoli di Stato oggi assomigliano a un freak show, verrebbe da pensare che la prossima recessione sia dietro l’angolo. Quest'anno ad Halloween avremmo potuto anche fare a meno dei tipici travestimenti. Lo scenario che Doyle profila (con tanto di grafici) è già abbastanza spaventoso di per sé. 

Il primo grafico si riferisce ai titoli di Stato dei Paesi sviluppati, una delle asset class meglio performanti nel 2016 che ha creato scompiglio nelle previsioni di inizio anno. La giusta mossa è stata quella di avere asset a lunga duration: a una durata maggiore, migliori risultati. Di anno in anno, gli investitori prevedono che i rendimenti obbligazionari aumenteranno ma il tempo dimostra che continuano a rinnovare i loro minimi storici. Ci sono buone ragioni per pensare che questo trend continui, tuttavia, i mercati obbligazionari oggi prevedono che ci vorrà ancora del tempo prima di una normalizzazione della politica monetaria.

L’esperto si mostra critico rispetto al margine di azione delle politiche accomodanti: “La bassa inflazione implica che le Banche centrali continuano ad appoggiare le loro economie indebitate e malate per un totale di 10 mila miliardi di dollari di titoli di Stato occidentali a rendimento negativo”. Questo comportamento ha un impatto diretto sul tessuto imprenditoriale: “Molte società – tra cui le banche – stanno soffrendo in questo scenario di tassi di interesse bassi e negativi. Hanno capito che il loro modello di business è in crisi in un contesto di bassa crescita e forte regolamentazione. Stanno nascendo pressioni nel sistema finanziario e non è chiaro come questi problemi verranno risolti”, afferma Doyle.

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Il secondo grafico riguarda le dimensioni dei bilanci delle Banche centrali. Gli ingenti acquisti di titoli di Stato da parte loro attraverso i programmi di QE indicano che i premi a termine – cioè l’importo extra che gli investitori richiedono per finanziare a scadenze più lunghe – sono stati spinti ulteriormente in territorio negativo. “Un tempo era inconcepibile che gli investitori pagassero per il privilegio di prestare denaro a un governo. Ora questo fenomeno è comune non solo sui mercati dei titoli di Stato ma anche per alcune recenti emissioni societarie”, aggiunge l’esperto.

Le Banche centrali non sono le uniche grandi acquirenti di bond. Ci sono altri investitori istituzionali con sete di asset di lunga duration. “La combinazione di Banche centrali, fondi pensione e compagnie assicuratrici ha ridotto qualsiasi sell off dei mercati obbligazionari, abbassando i rendimenti lungo la curva”, indica Doyle. Un ultimo fattore che sostiene questa domanda è l’invecchiamento della popolazione. “La domanda di asset rifugio continuerà a essere alta e gli investitori dovranno orientarsi verso asset più rischiosi se vogliono generare un rendimento reale positivo”, conclude Doyle.

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Nonostante lo scenario attuale non lasci presagire un aumento imminente dell’inflazione, il terzo fattore che preoccupa l’esperto di M&G Investments riguarda come reagiranno le Banche centrali al prossimo shock inflattivo. Considerando che attualmente la duration media di un portafoglio obbligazionario globale è di circa sette anni, Doyle avverte che “gli investitori potrebbero affrontare importanti perdite di capitali se i tassi dovessero rialzarsi in modo significativo”. Questa situazione solleva una serie di importanti quesiti: le Banche centrai aumenteranno i tassi in un contesto di stagflazione? Come reagiranno i politici quando i media riporteranno le perdite sui portafogli acquistati con il QE dalle Banche centrali? È a rischio l’indipendenza di queste istituzioni?  

Nonostante queste domande, Doyle afferma che “oggi il mercato si concentra più sulla stagflazione secolare che sul timore di un ritorno dell’inflazione, ma con un prezzo del petrolio che si è ripreso in pieno dai minimi di febbraio e un protezionismo commerciale che sta cominciando a guadagnarsi i favori dei governi di tutto il mondo, uno shock inflazionistico globale potrebbe essere più vicino del previsto".

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I mercati emergenti sono il punto centrale del quarto grafico. Doyle ricorda che molti titoli di Stato di questi mercati sono stati declassati nel corso dell’ultimo anno a causa soprattutto dell’incertezza politica. L’impatto di questo fenomeno è stato avvertito immediatamente sul mercato, con un aumento della volatilità nei mercati obbligazionari. Intanto, aggiunge l’esperto, “i grandi flussi verso i mercati obbligazionari emergenti hanno reso vulnerabili alcuni Paesi all’aumento dei rischi politici provenienti dall’estero”. Un esempio è il Messico, un Paese sul quale incideranno inevitabilmente i risultati delle prossime presidenziali statunitensi.

Parallelamente, molti mercati emergenti sono vulnerabili a un possibile rafforzamento del dollaro, ipotesi da non scartare considerata l’agenda della Fed. Un terzo rischio riguarda, inoltre, la possibilità che alcune nazioni emergenti siano declassate dal rating investment grade, innescando così un’ondata di vendite forzate da parte degli investitori stranieri.

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L’ultimo preoccupante grafico riguarda la scalata del credito in Cina, misurato in base alla differenza tra il rapporto credito/PIL e i trend di lungo termine. Secondo la BIS - Bank of International Settlements – in passato, due terzi di tutte le letture oltre la soglia di 10 sono state seguite da seri stress finanziari nei successivi tre anni. Il gap tra credito e PIL cinese oggi è al 30,1%, il più alto per la nazione dal 1995, e questo suggerisce che il sistema bancario potrebbe già essere sotto una severa pressione. A questo Doyle aggiunge i grandi investimenti in renmimbi in progetti immobiliari di grande scala assieme all’eccesso di capacità produttiva del settore industriale. “Questa combinazione tossica di debito alto e in crescita in un’economia rallentata tende a condurre a un inevitabile deterioramento”, conclude l’esperto.

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