Gestione attiva Vs Gestione passiva

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Il dibattito sulla bontà della gestione attiva o della gestione passiva evolve continuamente e sta impattando profondamente l’industria del risparmio. Se non si può ancora parlare di convergenza, di certo si notano comportamenti in cui ciascun approccio cerca di replicare il meglio che offre l’altro.

Dal lato della gestione attiva si comincia ad assistere, almeno nel caso dei principali gestori, al lancio di prodotti spesso meno cari, più trasparenti per quanto riguarda strategie e costi, e quotati sui mercati regolamentati nei paesi in cui già è possibile.

Dal lato degli ETF, nel pieno di un boom di raccolta e di incremento delle quote di mercato a livello globale, si comincia a vedere da parte degli emittenti un’attenzione via via crescente per mercati più di frontiera e per strumenti che replicano indici non tradizionali ma “innovativi”.

Sul fronte dei mercati di frontiera, lanciare un ETF su mercati africani o su obbligazioni convertibili richiede quasi una sensibilità da gestore attivo, nella scelta del benchmark più adatto e nell’operare su mercati non sempre liquidi.
 
Per quanto riguarda i benchmark innovativi, si fa riferimento a indici la cui composizione non è calcolata sulla base della capitalizzazione di mercato dei titoli sottostanti, ma dove i componenti sono pesati sistematicamente in base a criteri di natura statistica, fondamentale o macroeconomica.
 
Ad esempio vi sono ETF che replicano indici “Minimum Variance” e pesano le azioni in portafoglio privilegiando una composizione che minimizzi il rischio atteso del portafoglio, a prescindere da aspettative di rendimento.
Oppure vi sono indici cosiddetti “fundamentally weighted”, in cui il peso dei componenti dipende ad esempio dal fatturato delle aziende di cui si comprano le azioni, dalla redditività, dal dividendo, dai flussi di cassa… Esistono indici obbligazionari in cui le emissioni di debito pubblico non sono pesate sulla base di quanto debito è stato emesso dagli stati, ma sulla base del prodotto interno lordo, andando così di fatto a privilegiare i paesi che hanno poco debito ma un alto prodotto interno lordo.

L’interesse commerciale e finanziario di questi indici spesso definiti “smart beta” sta nel fatto che si permette all’investitore di esprimere una preferenza per determinati fattori che secondo lui potrebbero essere fonte di maggior performance in futuro, o di minori rischi.