Fintech, settore ad alte potenzialità. Rischi e opportunità per le banche

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Il settore Fintech in Italia è ancora agli inizi; a livello globale, invece, gli investimenti nel settore delle tecnologie applicate alla finanza hanno raggiunto, quest'anno, un ammontare di circa 12 miliardi di dollari.  Si tratta di un mercato dalle ampie opportunità, ̀anche per la finanza tradizionale, ma il nostro Paese sembra essere ancora impreparato. “Chi prima arriva, meglio alloggia. Ma il passato, in Italia, non depone molto a favore dell’adozione veloce delle nuove tecnologie”, spiega  Massimo Merlino, professore di finanza per l'innovazione, ingegneria gestionale, presso l'Università della Repubblica di San Marino. 

Cosa si intende con il termine fintech e quali sono le caratteristiche di questo mercato?

Con il termine fintech si intende il settore della tecnologia ICT applicata alla finanza, in particolare attraverso l'uso di devices avanzati e mobili o di piattaforme applicative che riguardano la produzione e distribuzione di prodotti finanziari, tendenti a ridurre lo spazio di intermediazione bancaria. In questo mercato,  dove i più grandi operatori sono già una decina, i venture capital stanno investendo in USA tra i 2 e i 3 miliardi di dollari già dall’anno scorso: un trend che si conferma anche nel 2015 e si stima in crescita nel 2016. In generale, il volume di investimenti raggiunti nel 2014 sono il triplo dell’anno precedente e molte di queste imprese sono uscite dalla fase di sperimentazione. Lending Club e OnDeck, due nuove piattaforme di prestiti on line sono andate in Borsa, mentre Venmo, un’app di pagamenti, ha trasferito un miliardo e 400 milioni di dollari nell’ultimo trimestre. Analizzando ancora i numeri,  secondo PwC, le erogazioni via social lending (prestiti tra privati, ndr) sono state nel 2014 di 11 miliardi; nel 2015 saranno di circa 30, per avviarsi poi a raggiungere almeno i 150 miliardi di dollari su un mercato di credito al consumo che negli Stati Uniti vale tra 2 mila e 3 mila miliardi. In Italia, intanto, vi sono già alcuni operatori   affermati come Smartika e Prestiamoci, autorizzati da Banca d’Italia, con erogazioni dell’ordine delle decine di milioni di dollari. 

Chi sono i principali attori, come si stanno muovendo e quali sono gli obiettivi?

In genere gli operatori sono imprenditori con esperienze nella gestione di fondi di investimento o nuovi startupper,  che puntano a intercettare con il social lending almeno dal 5 al 10% del mercato del credito al consumo, pari a circa un miliardo di dollari in Italia. Ambizioni diverse, invece, per chi si propone di entrare nell’asset management con sistemi di business intelligence/big data, essendo questo un mercato più sofisticato e ristretto anche per la cultura dei clienti. Per fare degli esempi, la Exor (la finanziaria degli Agnelli, ndr) è entrata nella quotazione della Lending Club, leader nei prestiti P2P, una società che oggi  capitalizza in Borsa 5 miliardi di dollari.

Quali sono le correlazioni tra il comparto fintech e quello delle banche e quali sono gli scenari futuri? Quali rischi e opportunità vede per la finanza tradizionale?

Le banche più che essere minacciate dallo sviluppo del fintech, devono cominciare a costruire alleanze per offrire i nuovi servizi tempestivamente: già oggi le filiali vengono disertate dai consumatori più giovani, attori della sharing economy. Sarà molto conveniente per gli istituti di credito più lungimiranti entrare nel settore attraverso acquisizioni e partnership, piuttosto che percorrere strade già abortite di sviluppo per linee interne, difficili per ragioni culturali. In ogni caso, non si tratta di far fuori le banche che anzi potranno migliorare i profitti utilizzando le innovazioni prodotte o comprando le start up. Si tratta, piuttosto, di un radicale rinnovamento della finanza lungo tre linee:
- abbattimento dei costi e miglioramento della qualità dei servizi finanziari (Lending club, ad esempio, ha spese per il 2%, contro il 5-7% di spese dei sistemi tradizionali);
- le nuove imprese di servizio hanno metodiche più avanzate e intelligenti per monitorare il rischio (vengono raccolte e analizzate informazioni dalle fonti più disparate per analizzare le piccole imprese che chiedono prestiti, anche nei casi dove i meriti di credito sono stati danneggiati dalla crisi economica);
- si crea un mercato del credito più stabile (mentre tradizionalmente le banche raccolgono a breve per prestare a lungo, qui gli orizzonti temporali di datori e debitori sono paralleli e le operazioni si chiudono senza rischi di default).

Ci sono delle aree di questo settore che ritiene più interessanti?

Le aree fintech più affermate sono quelle del P2P (peer to peer) lending (ossia del social lending e quindi dei prestiti tra privati, ndr) sul mercato del credito al consumo e dei prestiti personali di entità minore, valutati in Italia attorno ai 25 miliardi.  Anche nell’erogazione dei mutui si fa strada in USA una crescente attività di piattaforme specializzate. Sono invece più lontane le aree più sofisticate dei sistemi esperti applicati alla gestione patrimoniale.

Tutto questo, come si può trasformare in una interessante opportunità di investimento per un investitore (istituzionale e/o retail)?

Le opportunità per gli investitori sono notevoli, perché si attuerà progressivamente una trasformazione radicale del settore bancario per le operazioni più automatizzabili, come già è avvenuto con il web nella disintermediazione, nel turismo, nel e-procurement e nella vendita attraverso e-commerce. Si avrà una riduzione ulteriore dei costi a favore dei consumatori più evoluti, mentre il business bancario diventerà sempre più consulenza finanziaria, cioè fornitura di servizi pregiati per patrimoni significativi. Chi prima arriva, meglio alloggia, ma il passato in Italia non depone molto a favore dell’adozione veloce delle nuove tecnologie.