Dal ceto medio arrivano 25 miliardi di risparmio annuale

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foto: autor Images_of_Money, Flickr, creative commons

Dal ceto medio si stima provenga un flusso di risparmio annuale di 25 miliardi, cui si debbono aggiungere i flussi derivanti dal reinvestimento delle cedole, dei dividendi e dei capital gain realizzati. Nell’allocazione di questi 25 miliardi, il rendimento di breve periodo e la crescita del capitale vengono per il ceto medio dopo la sicurezza e la liquidità e, insieme, assommano a solo il 28% dei desiderata degli investitori (più o meno come nel 2007). È quanto emerge dall’indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2015 presentata ieri a Torino, un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2015 a 1.076 famiglie detentrici di conto corrente bancario e/o postale; all’interno della famiglia è stato intervistato il principale decisore in merito a risparmio e investimento, ossia la persona più informata e interessata circa gli argomenti trattati nel questionario (nel 77% dei casi, il capofamiglia).

Intanto la sensazione è che ci sia meno incertezza tra le famiglie italiane e nel 2015 i risparmiatori crescono del 5% rispetto al 2012. Cresce anche il risparmio gestito tanto che negli ultimi due anni la percentuale degli investitori è passata dal 9 al 12%. I risultati sono stati analizzati e discussi da Salvatore Carrubba, presidente del Centro Einaudi, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo e dall’economista Giuseppe Russo, curatore dell’indagine. Le conclusioni sono state affidate a Gian Maria Gros Pietro, Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo. Sul fronte del mercato azionario gli investitori italiani, più volte provati da variabilità dello scenario macroeconomico e della fiducia, hanno acquisito negli ultimi anni un atteggiamento sempre più prudente: se nel 2012 il 12,5% degli intervistati dichiarava di aver comprato o venduto azioni nel corso degli ultimi cinque anni, nel 2015 la percentuale scende al 7,5%, pur a fronte di un piccolo aumento di coloro che hanno operato sui mercati azionari negli ultimi dodici mesi. Come dire che, forse, una certa attrattiva Piazza Affari torna a presentarla, ma solo dal 2015.

Sul fronte di risparmio e previdenza, se è ancora elevata la quota di famiglie che è costretta dalla crisi a ridurre il proprio tenore di vita (51%, dal picco del 56% nel 2013), una percentuale quasi identica lo fa per motivi precauzionali, confermando una ripresa di controllo del proprio bilancio. Quello esaminato si conferma un campione di risparmiatori: il 62% dei soggetti intervistati ritiene il risparmio “indispensabile” o “molto utile” (94% se includiamo coloro che lo giudicano “abbastanza utile”). Sta di fatto che nel 2015 c’è un progresso dei risparmiatori di ben 5 punti percentuali rispetto al 2012 (l’anno peggiore della crisi finanziaria italiana): dal 38,6 al 43,7%. Chi risparmia avendo in mente uno scopo preciso, lo fa principalmente per cautelarsi da eventi imprevisti (48%). I figli sono al secondo posto, citati dal 23% dei risparmiatori mentre la casa è al quarto, indicata solo dal 9%. Al terzo posto c’è il risparmio per la vecchiaia: lo cita il 19% dei risparmiatori. Un terzo di coloro che risparmiano per la vecchiaia lo fa per l’assistenza medica: è dunque ridotto il numero di coloro che risparmiano per una motivazione generica legata al reddito nell’età anziana.

Sul fronte delle aspettative pensionistiche, il saldo tra i giudizi di sufficienza e non sufficienza del reddito atteso è pari al 18% del campione: un valore che non si riprende dopo la crisi, pur avendo toccato il 12% nel 2013, essenzialmente perché solo una quota relativamente ridotta di intervistati dichiara di avere sottoscritto una forma di previdenza di secondo o terzo pilastro (una larga parte sostiene di non avere liquidità sufficiente per affrontare questa copertura aggiuntiva). Per molti italiani, la previdenza integrativa resta un tema “scottante” perché non ancora affrontato in termini materiali, nonostante la consapevolezza diffusa che il tasso di rimpiazzo del reddito da parte delle pensioni future sarà basso (58%, secondo la stima soggettiva del campione intervistato).