Cosa ci dicono i mercati a due mesi dall’inizio del 2017

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Olga Berrios, Flickr, Creative Commons

I primi due mesi del 2017 sono trascorsi senza particolari turbolenze ma, anzi, in qualche caso all’insegna della prosecuzione di tendenze che si erano delineate già nell’ultima fase del 2016. Una di queste, secondo Fondaco, è proprio la propensione al rischio innescatasi a seguito dell’elezione di Trump, con continuo apprezzamento dei mercati azionari e tassi di interesse piuttosto stabli. È stato proprio il mercato azionario statunitense a guidare la salita, sostenuto sia dalle rivelazioni positive sull’economia e sul mercato del lavoro sia dalle aspettative di una politica fiscale espansiva e una minore regolamentazione da parte della nuova amministrazione.

Se ci soffermiamo sull’obbligazionario, la relativa stabilità dei tassi di interesse ha generato una volatilità contenuta delle asset class obbligazionarie. Anche in questo caso, però, l’allargamento degli spread tra Paesi core e periferici ha pesato sul mercato dei titoli di Stato dell’area euro. Le condizioni macroeconomiche piuttosto favorevoli di alcuni Paesi e la continua ricerca di rendimento da parte degli investitori ha favorito il debito dei Paesi emergenti a tal punto da essere la migliore classe di attività nelle prime settimane dell’anno.

Tassi di interesse e spread stabili hanno anche premiato il settore del credito, soprattutto HY, che continua ad attrarre gli investitori per i loro rendimenti a scadenza ancora moderatamente positivi. Per quanto riguarda il mercato valutario, il dollaro e la sterlina continuano a oscillare intorno ai livelli di inizio anno mentre le principali valute dei Paesi emergenti registrano un generale apprezzamento. Ad essere premiate sono quelle caratterizzate da rendimenti elevati, correlazione positiva con il prezzo delle materie prime e politiche monetarie  non restrittive.

Il quadro macroeconomico

Siamo di fronte a uno scenario di crescita economica globale solida (seppur con le dovute differenze tra Paesi e aree geografiche) e l’attuale ciclo fa sperare in un ulteriore consolidamento e accelerazione. Centrale sarà il ruolo degli USA e delle sue scelte di politica economica che saranno prese nel prossimo futuro. Proprio negli Stati Uniti i fondamentali economici rimangono solidi e le prospettive positive mentre l’assenza di elementi che in passato hanno pesato negativamente (come il rafforzamento del dollaro e il rialzo dei tassi di interesse) sta creando i presupposti per una nuova accelerazione della crescita.

A questo va aggiunta l’eccezionale dinamica del mercato del lavoro, con un esponenziale aumento di nuovi posti di lavoro rispetto alla fase del ciclo economico. Il principale elemento di incertezza è l’impatto dell’eventuale riforma fiscale di Trump, nella quale bisognerà trovare un equilibrio tra un possibile ulteriore stimolo alla crescita e il rischio di alimetare pressioni inflazionistiche, con conseguente reazione della Fed. Rischio protezionismo a parte, lo scenario per gli emergenti è complessivamente positivo grazie alla combinazione rappresentata da un rallentamento molto graduale dell’economia cinese, limitate pressioni al rialzo sui tassi di interesse statunitensi ed una ripresa del prezzo delle materie prime.

Focus sull’area Euro

Nell’area Euro la crescita rimane debole sia sul fronte della domanda sia sul fronte della produzione: il PIL a livello aggregato è cresciuto dello 0,4% nell’ultimo trimestre del 2016, a dicembre, la produzione industriale a livello aggregato è diminuita (-1,6%) su base mensile e anche le vendite al dettaglio si sono ridotte, contrariamente alle attese (-0,3%). Relativamente negative le dinamiche dell’economia italiana con la produzione industriale cresciuta dell’1,4% a dicembre così come la disoccupazione, salita al 12%.

È sempre più marcata la divergenza tra Germania e altri Paesi (soprattutto periferici) in termini di crescia, occupazione e inflazione. Un quadro che complica l’interpretazione dei dati aggregati e le scelte della BCE oltre a fomentare il populismo. Quello che è certo è che l‘Europa dovrà superare l’attuale fase di incertezza politica (Brexit inclusa) per poter ambire ad un potenziale di crescita in linea con il resto del mondo sviluppato.