Una Brexit da non sottovalutare

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Dopo il Fondo monetario internazionale ci si è messo pure l'OCSE: la Brexit costerà il 3% di crescita del PIL entro il 2020 e il 6% entro il 2030. L'addio all'Unione Europea, che sarà al vaglio degli elettori del Regno Unito il prossimo 23 giugno, preoccupa e non poco. La decisione spetta ai britannici ma in molti pensano che l'impatto economico e politico di un voto per uscire fuori dall'UE si farà sentire un po' ovunque. La Brexit potrebbe cambiare il modo in cui le multinazionali operano le loro decisioni di investimento. E il Regno Unito potrebbe assistere a un esodo delle aziende straniere impiantate sul suo territorio, come affermavano in un recente articolo Andrea Brasili e Cosimo Marasciulo di Pioneer Investments. Le possibili implicazioni della Brexit sugli investimenti produrrebbero conseguenze negative per le imprese britanniche e per l'economia del Regno Unito: "Le decisioni di investimento resterebbero in sospeso, la sterlina probabilmente si svaluterebbe e gli investimenti esteri nel Paese sarebbero a rischio. 

Ma non solo. Come spiega a Funds People Eric Domergue, head of fixed income - third party portfolio management di Generali Investments, "da un punto di vista politico un’eventuale Brexit potrebbe generare un effetto domino con significative conseguenze sugli altri stati membri, poiché sarebbe la dimostrazione del fatto che uscire dalla UE è un’opzione effettivamente percorribile". "In caso di uscita la sterlina avrebbe il potenziale per svalutarsi, cosa che potrebbe portare la BCE a mantenere il tasso di cambio dell’euro attraverso una riduzione dei tassi", continua l'esperto. "La BCE sta già provando ad utilizzare tutti gli strumenti a propria disposizione per combattere il trend deflazionistico e stimolare i prestiti alle piccole e medie imprese, e se l’eventuale Brexit portasse ad un allargamento degli spread sui titoli obbligazionari societari e dei Paesi periferici, essa sarebbe verosimilmente costretta ad intervenire con delle contromisure. La reale efficacia di queste misure è un tema centrale: se infatti gli investitori non credessero nelle capacità della BCE di supportare la crescita e il finanziamento di aziende e piccole-medie imprese, sarebbero tempi duri per l’Unione Europea in caso di Brexit".

Che i mercati debbano prestare più attenzione alla Brexit lo sanno anche da UBI Pramerica SGR. Per Emilio Franco, vice direttore generale e responsabile investimenti, "la Brexit è eventualità che i mercati non scontano pienamente; solo la sterlina per il momento ha riflesso questi timori. I sondaggi danno un leggero vantaggio per la permanenza nell'UE, ma il grado di incertezza resta elevato". Senza contare poi "la politica monetaria della Fed che potrebbe riconsiderare appropriato far ripartire il ciclo di rialzi dei tassi, prima di quanto scontato dai mercati, e il contesto politico dell’area euro, con la difficile situazione in Grecia, Spagna e Portogallo e, sullo sfondo, la crisi dei migranti che alimenta tendenze populiste e anti Unione Europea", aggiunge Franco.

Cosa fare dunque al momento sui mercati? Secondo il responsabile investimenti di UBI Pramerica servono "piani di accumulo sull’azionario di Eurozona, Italia e Asia Pacifico; siamo convinti che il 2016 possa essere un anno favorevole per le strategie bilanciate, vista la complessità offerta dalla combinazione di ciclo maturo in USA e dai rischi di breve termine che potrebbero innescare fasi di alta volatilità; la componente obbligazionaria dei bilanciati in questo caso potrebbe offrire un cuscinetto importante, ad esempio avvicinandosi al referendum sulla Brexit attraverso le componenti dollaro e US treasury".